La Corte Suprema, con sentenza 28 gennaio n. 1786/2021 ha statuito che “Nel giudizio sull’assegno divorzile il giudice del merito è tenuto a valutare condizioni, redditi ed età di entrambi i coniugi e, nella registrata sperequazione tra gli stessi, verificare se essa sia riconducibile a scelte comuni di vita, in ragione delle quali le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell’accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio.”

Alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, l’assegno divorzile ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa e, pertanto, il Giudice di merito ha il compito di stabilire l’entità dell’ammontare dovuto, in applicazione ai criteri stabiliti ex art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970.

Il Giudice, al fine di procedere alla esatta quantificazione dell’assegno dovuto, è tenuto a valutare condizioni, redditi ed età di entrambi i coniugi.

Nel caso in cui venga accertata la sperequazione tra i redditi degli stessi, il Tribunale di merito ha il compito di verificare se questa sia riconducibile a scelte di vita comune, in ragione delle quali le aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate sull’altare della famiglia, al fine di contribuire alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio.

I fondamenti logico-giuridici su cui si basa la pronuncia in commento si fondano sulla necessità che l’Organo Giudicante, chiamato alla determinazione dell’assegno su richiamato, verifichi, dunque, motivi, anche in merito all’eventualità che riscontri una sperequazione tra i redditi dei coniugi.

Occorre accertare, infatti, se tale circostanza sia riconducibile a scelte comuni che hanno di conseguenza, comportato la rinuncia alle aspettative di realizzazione professionale di uno dei due coniugi, e di produrre, dunque, reddito da lavoro, provvedendo a confrontare la quantificazione della posta al sacrificio e al contributo dato dal consorte “debole” alla famiglia.

La Corte d’Appello, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione avverso la sentenza di primo grado, aveva rideterminato in melius l’importo dell’assegno (da € 2.500,00 a € 3.700,00), richiamando nella sperequazione dei redditi e non autosufficienza economica della richiedente, soltanto l’età e la durata del matrimonio degli ex coniugi, trascurando, piuttosto, le ragioni di tale scelta, omettendo di valutare, vista la finalità assolta dall’assegno in questione, il contributo del coniuge più debole alla conduzione della famiglia, in quanto esito di un sacrificio di aspettative personali determinato dalle comuni scelte di vita familiare.

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