I vincoli preordinati all’espropriazione non sono indennizzabili se destinati a parco pubblico, sede viaria e verde di arredo urbano in quanto aventi natura conformativa.

Con la recentissima sentenza n. 773 del 28.04.2020  la Corte di Appello di Catania ha avuto modo di pronunciarsi in tema di reiterazione in via amministrativa di vincoli (decaduti) preordinati all’espropriazione ed indennizzabilità degli stessi

La Corte Etnea, richiamando i principi statuiti sul punto dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 179 del 20.5.1999, ha ribadito che la reiterazione in via amministrativa di vincoli decaduti (preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa prevista in alcune regioni a statuto speciale, non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale, ma assumono carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga “sine die“. Ciò ovviamente in assenza di previsione di un indennizzo.

La mancata previsione di qualsiasi indennizzo, infatti, si pone in contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall’art. 42 comma 3 cost., e di conseguenza deve considerarsi incostituzionale

Pertanto, l’obbligo specifico di indennizzo sorgerà una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l’espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi.

Premesso ciò, la Corte catanese prosegue però ricordando che non ogni tipo di vincolo comporta il correlato diritto del privato a percepire un’indennità correlata al sostanziale svuotamento del proprio diritto di proprietà.

Richiamando ancora una volta la suindicata sentenza della Consulta, i giudici etnei hanno precisato sul punto che in generale la legge può non disporre indennizzi quando i modi ed i limiti imposti attengano, con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo, ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata di essi – anche per zone territoriali – ad un particolare regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. In altri termini, non si può porre un problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base alla legge, abbia riguardo i modi di godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni o interessi pubblici preminenti.

Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili”

La Corte precisa, altresì, che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo, con le connesse garanzie costituzionali, i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento.

Il riferimento, a titolo esemplificativo, va a parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali, ovvero a “tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”. Quindi, rimangono al di fuori dell’ambito di indennizzabilità i vincoli incidenti, con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni – ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici – i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile.

Conseguentemente, non sono indennizzabili “i vincoli posti a carico di intere categorie di beni, e tra questi i vincoli urbanistici di tipo conformativo, e i vincoli paesistici (Corte cost., 20 maggio 1999, n. 179)”. In merito alla distinzione tra vincoli conformativi e vincoli di natura espropriativa, la Consulta nella citata pronuncia  così si è espressa: “Quanto ai vincoli di natura conformativa, costituisce jus receptum in giurisprudenza il principio per cui il carattere conformativo non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica.

Al contrario, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.

Tornando al caso di specie, sulla specifica destinazione dei terreni oggetto di causa a parco pubblico, sede viaria e verde di arredo urbano, la Corte etnea ha affermato che “non può dubitarsi della natura conformativa di dette destinazioni, in quanto in entrambi i casi non vengono in considerazione finalità ablatorie concernenti beni determinati in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, bensì vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale. Deve quindi rilevarsi la natura conformativa dei vincoli suddetti, in quanto la destinazione a parco pubblico, così come la previsione di una sede viaria, risultano effettuate in virtù di criteri generali e astratti, e non già in funzione della localizzazione di opere pubbliche specifiche su beni per esse individuati (cfr. Cass., 11 gennaio 2013, nn. 614 e 615; quanto al parco pubblico, Cass., 21 giugno 2016, n. 12818; nello stesso senso, Cons. St., 1 luglio 2015, n. 3256; Id., 29 novembre 2012, n. 6094; Id., 19 gennaio 2012, n. 244). Per quanto attiene al verde attrezzato, vale bene rimarcare come la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 20 novembre 2006, n. 24585; Cass., 24 dicembre 2004, n. 23973; Cass. 9 maggio 2002, n. 6635, Cass., 16 maggio 1998, n. 4921) e quella amministrativa abbiano affermato la natura conformativa del relativo vincolo. In particolare, è stato osservato che la destinazione a verde attrezzato di un terreno privato lo grava di un vincolo che non svuota il diritto di proprietà del suo contenuto, si riporta all’art. 42 Cost., comma 2 e, in definitiva, ha natura conformativa e non ablatoria del bene”

Sulla base di tali principi, la Corte ha rigettato le domande dell’attore concludendo che nel caso di specie la pianificazione del territorio espressa dal PRG del Comune convenuto in relazione al fondo di proprietà dell’attore si è tradotto nell’apposizione di vincoli di natura meramente conformativa, per il coinvolgimento di una pluralità di lotti nel complesso del territorio comunale, e per mancanza di una previsione avente natura lenticolare destinata alla realizzazione di una specifica opera pubblica.